La regolarità contributiva degli avvocati
Il problema della verifica della regolarità contributiva dei professionisti è complesso e ho avuto modo di parlarne in vari articoli, descrivendo la modalità di verifica per biologi, architetti ed altre categorie.
Oggi vedremo assieme come si controlla la regolarità contributiva degli avvocati.
Una questione controversa
Avere a che fare con gli avvocati per una pubblica amministrazione non è mai banale. Il primo problema da affrontare è la questione “appalto o non appalto”. Se infatti un tempo era pacifico che l’affidamento di un singolo incarico di patrocinio in giudizio, dal punto di vista della modalità di scelta del professionista fosse cosa radicalmente diversa dall’affidamento del servizio globale di gestione delle problematiche legali di un ente, ora anche questa certezza non è più tale.
Mentre infatti l’affidamento di un incarico episodico è un contratto d’opera professionale espressamente escluso dal Codice dei Contratti ex art. 17 co.1 lettera d) (e anche dalla tracciabilità), l’appalto per servizi legali è a tutti gli effetti un appalto di servizi e soggiace alle regole fissate dal Codice, sia per l’affidamento con gara che per la tracciabilità dei flussi finanziari (quindi, per questi appalti va chiesto il CIG -smart o meno a seconda dell’importo-).
Su questo punto però non c’è unanimità di vedute. A fronte di giudici che ritengono che qualsiasi incarico affidato a un legale sia sempre e comunque un appalto, gli avvocati rivendicano la particolarità della loro attività e si rifanno alle direttive comunitarie che escludono dalla normativa sulla concorrenza quantomeno la rappresentanza in giudizio.
L’ANAC nelle linee guida 12 sui servizi legali ha assunto una posizione radicale, affermando che sono da intendersi esclusi dalla disciplina del Codice soltanto gli incarichi ex art. 17 co.1 lettera d), interpretato letteralmente. E in ogni caso l’esclusione significherebbe non che questi incarichi si possono affidare a chi si vuole, ma che è sufficiente affidarli rispettando i principi di economicità, efficacia,imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. La restante attività degli avvocati invece sarebbe soggetta in toto al regime dell’evidenza pubblica (con alcune particolarità dettate per questo tipo di appalti). Gli avvocati contestano radicalmente questa ricostruzione ed hanno impugnato le linee guida.
Senza addentrarmi in questa problematica (chi vuole approfondire può leggere ad es. questa interessante analisi degli “Amministrativisti Veneti”), che a mio avviso sarà risolta solo con una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, oggi voglio parlarvi della verifica della regolarità contributiva degli avvocati.
DURC o no?
La prima domanda da porsi è se occorra verificare la regolarità contributiva dei legali, o se non sia necessario. Nelle linee guida 12 l’ANAC ha sostenuto che i requisiti generali richiesti dall’art. 80 del Codice per chi contrae con la Pubblica Amministrazione debbano essere verificati anche nei confronti degli avvocati. Di conseguenza, visto che la regolarità in tema di imposte e contributi è tra i requisiti indicati, gli avvocati non fanno eccezione e la verifica a mezzo DURC va compiuta anche nei loro confronti.
Tuttavia, visto che le cose in Italia non sono mai semplici, il Consiglio Nazionale Forense ritiene infondata questa posizione e l’ha contestata al punto da impugnare le linee guida al TAR. Con un parere del 19 novembre 2021 infatti ha affermato che: le linee guida ANAC non sono vincolanti, la prestazione dei legali è da ritenersi esclusa dal Codice, il DURC “non possa essere validamente richiesto agli avvocati”. In effetti, per gli avvocati senza dipendenti la richiesta del DURC dà esito nullo.
Per complicare ulteriormente le cose, il Ministero della Giustizia attraverso la nota prot. 0230458 del Dipartimento per gli Affari di Giustizia fa sapere che a suo avviso il DURC è sì dovuto, ma esclusivamente per quei professionisti che operano con l’ausilio di dipendenti.
Che fare
In questa situazione, il povero funzionario amminisrativo che deve liquidare un legale si trova tra l’incudine ed il martello. Come comportarsi, a chi dare ascolto? Al CNF, che dice che non va chiesto nulla, all’ANAC, che vuole il DURC, al Ministero, che chiede DURC e attestato della Cassa Forense?
Fortunatamente, per non mettere in difficoltà i propri associati, la Cassa Forense ha deciso di rilasciare, a richiesta, un documento simile al DURC. Se infatti la Cassa precisa che per la natura e le tempistiche di versamento dei contributi non le è possibile rilasciare un “certificato” di regolarità contributiva dell’iscritto, a richiesta può rilasciare un “documento dichiarativo con contenuti analoghi al DURC” per non venire incontro ai legali che lavorano per la P.A.
Questo documento si ottiene inviando al CNF il modulo scaricabile a questo link con l’avvertenza che la Cassa lo trasmetterà, entro 30 giorni dalla richiesta, al professionista (non alla PA richiedente).
Quindi, il mio consiglio è di richiedere in ogni caso questo documento, mentre se l’avvocato ha dei dipendenti a libro paga (circostanza da accertare con apposita dichiarazione acquisita al momento dell’incarico o della liquidazione della fattura) va chiesto (anche) il DURC.
Sulla validità del documento dichiarativo, non mi risulta che sia codificata da nessuna parte, ma in genere la Cassa lo rilascia ogni sei mesi (quindi suppongo che si debba ritenere che la validità sia pari a 180 giorni).
Sulle conseguenze di una eventuale irregolarità contributiva, valgono le osservazioni già avanzate in riferimento ad ingegneri ed architetti (ossia, è un’altra, ennesima complicazione).
Grazie,
ottimo contributo!